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27/10/2025
Un recente rapporto pubblicato dall’ Initiative for Neutral Search – un gruppo europeo che promuove la concorrenza online e la trasparenza nei motori di ricerca – ha acceso i riflettori su un tema di grande attualità: il modo in cui Google gestisce le aste pubblicitarie dei risultati di ricerca (Google Ads).
Lo studio, intitolato “Manipulative Google Ads Pricing and the DMA”, analizza le evidenze emerse nei procedimenti antitrust statunitensi contro Alphabet (la società madre di Google) e sostiene che pratiche simili potrebbero aver avuto luogo anche nell’Unione Europea, con impatti economici significativi per le imprese.
SOMMARIO
Come funziona un'asta pubblicitaria
Le tre tecniche di manipolazione
Impatti economici e aziendali
Le proposte dell'iniziativa
Conclusioni
Quando un utente effettua una ricerca su Google, compaiono annunci pubblicitari etichettati come “Sponsorizzati”.
Questi spazi vengono assegnati tramite un’asta: gli inserzionisti fanno un’offerta (il cosiddetto “costo per clic massimo”, o CPC max) e Google combina questo valore con altri fattori – come la qualità dell’annuncio – per determinare chi apparirà in alto.
In teoria, il sistema dovrebbe essere trasparente e basato sul principio della “seconda offerta”: chi vince paga solo il minimo necessario per superare il concorrente successivo.
Tuttavia, secondo il rapporto, Google avrebbe modificato nel tempo questo meccanismo, introducendo elementi opachi e algoritmi che avrebbero aumentato i prezzi pagati dagli inserzionisti senza renderlo noto.
Il documento, basato sulle risultanze del processo americano del 2024, descrive tre tecniche attraverso cui Alphabet avrebbe incrementato i propri ricavi:
Reserve Ad Rank: l’introduzione di soglie minime nascoste che gli inserzionisti devono superare per partecipare all’asta, creando una sorta di “offerente fantasma” che spinge i prezzi verso l’alto.
Squashing: un artificio che aumenta il punteggio dell’inserzionista “secondo classificato”, obbligando il primo a pagare di più per mantenere la posizione.
Randomized Second-Price Auction (rGSP): un sistema che, in modo casuale, scambia i punteggi tra i partecipanti, simulando una competizione maggiore e generando rialzi di prezzo artificiali.
Queste pratiche – se confermate anche in Europa – avrebbero causato un incremento costante del costo per clic (CPC) per gli inserzionisti, come mostra il grafico riportato nello studio (pagine 8–9), con aumenti medi annuali vicini o superiori al 20%.
L’aumento dei costi pubblicitari si traduce in minore visibilità per le piccole e medie imprese e prezzi più alti per i consumatori finali.
Per questo, l’Initiative for Neutral Search invita la Commissione Europea ad agire, utilizzando gli strumenti previsti dal Digital Markets Act (DMA) e dall’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che vietano gli abusi di posizione dominante.
In particolare, il documento chiede alla Commissione di verificare se Alphabet:
abbia violato il principio di trasparenza previsto dall’art. 5(9) DMA,
non abbia rispettato l’obbligo di condizioni eque e non discriminatorie (FRAND) stabilito dall’art. 6(12),
e abbia limitato l’accesso ai dati necessari per valutare il reale costo delle campagne (artt. 6(8) e 6(10)).
Nel suo appello finale (pagina 12), l’Initiative for Neutral Search propone un incontro con il team DMA della Commissione Europea per presentare ulteriori prove e suggerisce di:
indagare sull’uso delle pratiche di Reserve Ad Rank, Squashing e rGSP anche nei mercati europei;
imporre a Google di rendere trasparenti i criteri di determinazione dei prezzi;
estendere i controlli anche ad altri formati pubblicitari, come gli annunci di shopping o viaggio, che funzionano con logiche simili.
Il tema affrontato dallo studio va oltre la pubblicità online: tocca la fiducia nelle piattaforme digitali e la tutela della concorrenza.
Per le imprese che investono in Google Ads, comprendere questi meccanismi è fondamentale per valutare la sostenibilità delle proprie campagne e per chiedere, se necessario, maggiore trasparenza.
Come ricorda il documento, l’obiettivo del Digital Markets Act è proprio questo: garantire un ambiente digitale equo, aperto e competitivo, dove anche i piccoli operatori possano avere pari opportunità.
Team LegalBlink